Kamikaze girl.
Tu ed io abbiamo un talento speciale e l’ho capito immediatamente.
Quelli come noi si chiamano "supplenti".
-Claire-
Io scrivo senza dire, parlo di me senza raccontare.
E’ una strategia.
Suoni, emozioni, ricordi, intrecci e sovrapposizioni.
E’ forse l’unica strategia che conosca.
E finisco a scrivere per me stessa, o per pochi, perché le cose non dette non si possono capire.
E’ l’unica strategia che conosca per difendermi.
Poi succede che certe sensazioni colpiscano ugualmente per la loro sola intensità, o che le parole vengano fraintese.
Ognuno legge ciò che vuole, è qualcosa che ho sempre amato. Ma è un rischio.
E’ l’unica strategia che conosca per difendermi, ma non sempre funziona.
Nonostante tutto continuo a scrivere, perché non sono capace di fare altrimenti.
Per me oggi, per ricordare domani.
Solo che a volte lo scudo del non-événementielle serve a poco.
Perché certe cose sono chiare anche se chiamate con nomi diversi.
Ho visto un muro e l’ho misurato per mesi, in lungo e in largo.
Di tanto in tanto ne ho preso le distanze, poi mi ci sono avvicinata pericolosamente.
Gli ho voltato le spalle e mi ci sono seduta di fianco, appoggiandoci la schiena contro, senza mai avere il coraggio di allontanarmene.
Infine ho deciso che era il momento, che se non l’avessi fatto me ne sarei pentita.
Ho deciso e mi ci sono schiantata contro, consapevolmente.
Sentendomi le ossa rotte ancor prima dell’impatto.
"Sono confuso. E’ brutto da dire ma io penso ad un’altra.
Credevo di no, invece è sì."
Così. Mentre tentavo di dire che l’importante, per me, era altro.
Mentre speravo di riuscire a dire che avrei voluto salvare tutto quello che potevamo.
Perché credevo fossimo in due a vedere quell’intesa, a ricordare nitidamente le chiacchiere e le risate fino a notte fonda.
Eppure non è stato questo il colpo.
Il vero schianto si rinnova ogni volta in cui quel muro crolla un po’, e io stento a riconoscere i pezzi che mi ritrovo tra le mani.