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Democratic Eastpak

Non sono una novità le collaborazioni tra il mondo della moda e quello della beneficenza.
Coin ci prende gusto e continua la sua campagna Democratic Wear lanciando una nuova collaborazione: “Democratik by Eastpak”.
Il prossimo 21 maggio sarà disponibile in alcuni punti vendita Coin la limited edition Padded Pak’r del famoso zaino, al prezzo democratic di 10 euro.


Grazie alla collaborazione con il progetto musicale Rezophonic, che presenterà il nuovo album in anteprima nazionale nello store milanese di Piazza Cinque Giornate, il ricavato sarà devoluto ad Amref per la costruzione di pozzi in Africa.

Mario Riso, batterista e anima del progetto, ha dichiarato: “Rezophonic ha permesso di restituire un futuro e sopravvivenza a tante persone che non avevano accesso all’acqua, perché dove non c’è acqua non ci sono possibilità di sviluppo. Stiamo per lanciare il secondo album e voglio ringraziare EASTPAK e Coin che renderanno possibile da subito la creazione di 4 pozzi grazie al progetto Democratic Wear che ci vede in prima linea per sensibilizzare ancora più pubblico alla nostra causa”.

Il Padded Pak’r sarà in vendita dalle ore 11 del prossimo 21 maggio nei punti vendita indicati di seguito.
Per accedere all’area “Democratic” sarà necessario essere in possesso di un ticket numerato che sarà fornito all’ingresso dello store.
È consentito l’acquisto di un solo pezzo a persona fino ad esaurimento scorte.
Il sold out, come al solito, è assicurato. In bocca al lupo!

I punti vendita Coin in cui potrete trovare l’area Democratic sono:

  • BERGAMO, Via Zambonate, 11
  • BOLOGNA, Via Rizzoli, 7
  • BRESCIA, C.so Magenta, 2
  • CAGLIARI, Via Dante, 136
  • CATANIA, Via Etnea, 112
  • COMO, Via Boldoni, 3
  • FIRENZE, Via Dei Calzaiuoli, 56/r
  • GENOVA, Via XX Settembre, 16a
  • LECCE, via Nazario Sauro, 29
  • LECCO, Via Roma 55
  • LIVORNO, P.zza Attias, 17
  • MESSINA, Viale San Martino 101
  • MESTRE, Centro Comm.le ”Le Barche” – P.zza XXVII Ottobre, 1
  • MILANO, P.zza 5 Giornate, 1/A
  • MILANO, P.zza Cantore, 12
  • NAPOLI, Via Scarlatti, 86/100
  • NOVARA, Corso Cavour 4
  • PADOVA, Via Altinate, 16/8
  • PARMA, Via Mazzini 6/a
  • PISA, Corso Italia 118/120
  • REGGIO CALABRIA, Corso Garibaldi 401
  • ROMA, P.le Appio, 7
  • ROMA, Centro Comm.le ”Cinecittà 2” – Viale P.Togliatti, 2
  • ROMA, Via Cola di Rienzo, 173
  • TERNI, Corso Tacito
  • TREVISO, C.so del Popolo, 42
  • VARESE, Via V.Veneto, 14
  • VENEZIA, Cannaregio 5787
  • VERONA, Via Cappello, 30
  • VICENZA, P.zza Castello, 19

Trovate questo post anche su FashionBlabla.

Persona by Max Mara: a tu per tu col brand.


Guardate le ragazze in questa foto e ditemi quale è la prima cosa che pensate.
A me sembrano belle, giovani, solari, sexy, in armonia col proprio corpo. Ed è questa, a mio avviso, la nuova immagine di un marchio storico che ha avuto il coraggio di osare un cambiamento, di aprirsi a nuove tendenze e nuove fette di mercato senza rinunciare ad uno stile raffinato che ha fatto la storia di Persona dagli anni ’70 ad oggi.

Recentemente ho avuto il piacere di incontrare il delizioso staff di Persona by Max Mara, in particolare Gianfranco Nizzoli (Direttore prodotto) e Francesca Ferretti (Responsabile della comunicazione) che mi hanno guidato alla scoperta del brand.
In un’atmosfera rilassata e informale si è parlato di marketing e tessuti, di denim e tendenze, con una costante attenzione alla donna e alla femminilità, alla vestibilità dei capi e alla qualità.
Dalla collezione P/E 2010 inizia il restyling del brand, accompagnato dalla scelta (a mio avviso vincente) di una nuova testimonial: Vanessa Incontrada.


Persona rinnova così l’immagine, la comunicazione e l’approccio col cliente. Il sito web è decisamente user-friendly e con una community vivace, un blog sempre aggiornato e fan page su facebook attivissima, perfettamente in linea con i dettami del marketing 2.0.
È un marchio che cresce, si evolve, si rinnova, dando vita ad un total look dinamico e contemporaneo che passa dal bon ton all’etno-chic, dallo sport al party.
Una collezione ricchissima, fatta di capi minimal ed altri più impegnativi, giacche e t-shirt, jeans e pizzo, stampe floreali e tessuti impalpabili, accessori coloratissimi e look pastello.

La parola d’ordine è “mix & match“, personalizzare lo stile e combinare i capi secondo le circostanze, la propria personalità, l’umore.
Gli splendidi scatti del catalogo con Vanessa e “le sue amiche” rappresentano a pieno questo mood, così come le proposte tematiche sul web.
Meno incisiva risulta invece l’immagine degli store in cui gli allestmenti conservano spesso un’impostazione “classica” e su cui probabilmente l’operazione di restyling dei visual dovrebbe essere più incisiva.
Per quanto siano coinvolgenti le immagini, per quanto siano mirate e innovative le strategie di comunicazione, lo store resta il luogo privilegiato di contatto, di scoperta, di scelta.

Persona vetrina
Spero dunque di vedere quanto prima nelle vetrine di Persona proposte di outfit meno convenzionali e più colorate, stand meno monotoni e abbinamenti più estrosi, spero che ogni capo venga proposto “dal vivo” come viene proposto in foto, che tutto ci racconti inequivocabilmente la nuova filosofia del brand: che si può essere belle, femminili e raffinate senza rinunciare al confort, alla praticità, alla nostra identità, alla nostra Persona.

 

Listen

Ho attraversato uno per uno i luoghi della provincia, me li sono lasciati scorrere di fianco mentre qualcun altro teneva in equilibrio un mostro meccanico sui binari.
Li ho attraversati senza guardarli, chiacchierando con occhi che da anni conoscono i miei toni ironici, la mia seduta scomposta e la mia voce squillante.
Nel frattempo, a quegli occhi, parlavo di luoghi lontani un bel po’ di chilometri, di altri climi e altri fusi orari, di megalopoli tentacolari in cui nonostante le distanze restiamo sempre noi stessi.
Il ragazzo che sedeva poco più in là ascoltava timidamente i miei discorsi sarcastici ed entusiasti, si avvicinava per sentire meglio e poi sorrideva di sbieco.
Mi piace quando la gente mi ascolta, quando la gente mi ascolta e sorride. Mi sembra un motivo valido per raccontare storie.
E così racconto ancora, lanciando di tanto in tanto qualche occhiata complice. Racconto di tutto, anche quello che non c’è, ma non sono bugie perché qualcuno mi ascolta mentre la provincia ci scorre di fianco, e sorride. Mi sembra un motivo valido per raccontare storie.

[Potete trovare questo post anche su Extravesuviana]

Verba tenere.

Vorrei prendere tutte le parole che ho da dirti. Che poi sono sempre le stesse, ripetute decine di volte.
Vorrei raccoglierle strette strette e accarezzarle a piene mani, lavarle con le mie lacrime e gonfiarle col mio respiro, colorarle col sangue vivo e legarle insieme coi miei capelli.
Vorrei prenderle tutte, finalmente, fino all’ultima, per non dirtele mai.
E buttarle in un pozzo, insieme al mio cuore.

2880 minuti

– Quante volte ti sei innamorata da allora?
– Una volta sola. Per 48 ore.

Gli amori che durano 48 ore sono strafottenti e violenti, ti spezzano le ginocchia e la lingua, ti fottono i neuroni.
Gli amori che durano 48 ore tu li riconosci dalla prima carezza e sai che ti rimarranno addosso per 48 giorni o 48 mesi, nella migliore delle ipotesi.
Sono amori che bruciano in fretta ma da cui ti rialzi lentamente e ne conservi le ceneri come un dono prezioso.
Sono amori fatti di una felicità sfacciata e una scadenza immediata, sono fatti di calci e lividi e bugie che fanno più male delle verità.
Sono amori che ti dici: “come ho potuto crederci? era un amore che dura 48 ore!” e sorridi senza accorgertene.
Sono amori di cui ti chiedi il come ma conosci bene il perché, di cui a giorni alterni benedici e maledici ogni singolo minuto.
Sono amori che non dovrebbero esserci, amori che in quelle 48 ore sarebbe stato meglio dormire e sognarli soltanto.

Oggi sembra primavera.

Io ho un cardigan leggero e un cappotto pesante, un sacchetto (ancora) natalizio e il collo scoperto.
È una giornata strana, tutti sembrano sopraffatti da questo caldo irreale e questa luce pallida.
Non so quanto durerà. Il caldo, intendo. E anche il pallore, interrotto soltanto da quest’azzurro sfacciato negli occhi dell’uomo che mi siede di fronte.
È come se dovesse succedere qualcosa da un momento all’altro, come se tutti lo sapessimo ma facciamo finta di non  pensarci leggendo un quotidiano free press di pessima qualità.
In treno oggi si parla poco: il pallore ammutolisce. O forse è l’attesa.
A volte i binari passano in mezzo a campi coltivati o terreni fatti di niente, tra gli ortaggi messi in fila e i vecchi ferri abbandonati.
Poco fa c’era un mucchietto di fogli colorati e bruciacchiati, buttati a terra alla rinfusa senza un motivo apparente. Forse non avevano preso fuoco, non lo so, ma io mi sento così.

Ob-servare

Prima ancora delle immagini, mi hanno affascinata le parole.
Ero una bambina atipica: trascorrevo i miei pomeriggi solitari a scrivere, a tre anni e mezzo ero già bravissima.
E così ho continuato a farlo sempre, quasi ininterrottamente. Ero nata per quello, mi dicevano.
Io non lo sapevo se era davvero così ma nel tempo ho affidato alle parole tutta la mia fantasia di bambina, la creatività visionaria da adolescente ribelle, la sensibilità da giovane donna.

Le parole mi sono diventate amiche, le ho addomesticate, mi sembrava una sottile forma di potere.
Crescendo, tra un aoristo e un dativo, ho capito che amavo sempre di più quello che stavo facendo. Poco importavano le eccezioni della quinta declinazione: la magia delle etimologie era la cosa più affascinante che mi fosse mai capitata. Possedevo l’origine delle parole ed era bellissimo.

Un giorno un uomo mi chiese la differenza tra “vedere” e “osservare”, io gli risposi con tutto il sarcasmo e la presunzione dei miei 16 anni. Lui mi sorrise e colse in me qualcosa di raro e luminoso, che forse nemmeno meritavo di avere.

Con tutta probabilità fu da quel giorno che smisi di vedere ed iniziai a guardare, salvare, custodire. Fu un uomo che sapeva usare le parole ad insegnarmi come si usassero gli occhi.
In greco, il verbo φαντάζω (fantazo), da cui derivano parole come “fantasma” e “fantasia”, significa “mostrare” ma anche “ingannare”.
È quello che mi illudo di fare, fotografando: catturare atmosfere sospese e attese in compiute, dettagli secondari e identità molteplici. Fantasie, suggestioni, inganni visivi ed emozionali.

Col tempo ho cambiato taglio di capelli e colore preferito, ho letto Sartre e girato l’Europa, ma non ho mai dimenticato ciò che quell’uomo mi aveva insegnato.
Ho iniziato ad adorare le immagini e a ricercare l’armonia anche nella casualità e nell’imperfezione.

Quando tra le mani mi sono ritrovata una macchina fotografica, ho solo continuato a fare ciò che avevo sempre fatto: ricercare la bellezza.
E continuare a credere che, sopra ogni altra cosa, sarà la Bellezza a salvare il mondo.

Potete leggere questo post anche su GraziaBlog.

Un Natale su Grazia.


Quest’anno Grazia Magazine ha voluto farmi un regalo.
E così, per (quasi) tutte le vacanze natalizie ospiterà le mie foto sul suo blog.
Le trovate, giorno per giorno, cliccando QUI.
Aspetto i vostri commenti 🙂

PslA 2010

A me, la sola idea di scrivere qualcosa sul Natale, mi terrorizza.
Però ce l’ho fatta, ho raccolto le forze perché sapevo di essere in ottima compagnia.
E così l’edizione 2010 di “Post sotto l’albero, nata come sempre dalla mente geniale di Sir Squonk, contiene anche un mio contributo.
Io ve lo incollo di seguito e lo trovate a pag.164 ma voi leggeteli tutti, che sono bellissimi.

Congiunzioni.

“Caro Babbo Natale (io so che tu non esisti),
io non so se merito un regalo ma se lo merito
vorrei il Mio caro Diario e o Gira la moda
e anche o poi qualche altra cosa a tuo piacere.
Ora ti saluto. Ciao.
La tua cara
Giada”

Quando mia madre ha ritrovato questo foglio spiegazzato, qualche giorno fa, ha riso e me l’ha portato in camera.
«Guarda, sei sempre la stessa – mi ha detto – sei anni e già non credevi a nulla, neanche a Babbo Natale!»
Io ho sorriso e ho voluto bene alla bambina con la frangetta che ero. Non per le parentesi ma per le cancellature.
«Sono sempre la stessa – mi sono detta – sei anni e già ridimensionavo le aspettative.»
Io lo sapevo di essere stata studiosa, educata e diligente, sapevo che questo sedicente Babbo Natale quei regali poteva portarmeli, non sapevo però se li meritavo davvero.
Non sapevo se ero abbastanza.
Col tempo ho imparato a non accontentarmi ma ho continuato a non saper chiedere.
Col tempo mi sono sentita sempre troppo o troppo poco.
Le lacrime sono meritate, i sorrisi rubati.
E ho cominciato a dare tutta me stessa solo per sentirmi meritevole di ricevere.
Col tempo ho continuato ad adorare le bolle di sapone, che sono imprevedibili e cangianti come i rapporti umani, solo un po’ meno fragili.
Ho continuato ad amare negli altri ciò che io non ero e non sono, a collezionare delusioni e rincorrere storie sbagliate, a ricercare il dubbio, quasi a voler perdere per forza.
Per qualcuno è paura di essere felice, non so cosa sia per me.
So che io quella bambina con la frangetta vorrei abbracciarla e dirle di non cambiare le “e” in “o”, di imparare a chiedere agli altri come chiede a se stessa, di essere più leggera e meno spaventata.
Vorrei dirle di pretendere abbracci che ti tolgono il fiato e baci che schioccano quando meno te lo aspetti.
Vorrei dirle che l’amore esiste e fa male ma è bellissimo e incondizionato, fatto di attese estenuanti e carezze che in un istante solo ti ripagano di tutto.
Vorrei dirle che forse, da qualche parte, Babbo Natale esiste se solo trovi il coraggio di crederci.

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Un pomeriggio (fotografico) con Alessia Caliendo.

Cosa succede quando un’eclettica fashion designer dallo slancio imprenditoriale incontra una fotoreporter dallo scatto compulsivo?
Il passato e il futuro (lavorativo e non) di una ragazza che ha il coraggio di osare nel mio nuovo articolo per FashionBlabla.